giovedì 21 maggio 2009

I Segreti di Barcellona 1

La Sagrada Familia, le Ramblas, il Tibidabo, le case moderniste: in una parola Barcellona.
Chiunque vi sia stato, chiunque vi stia per andare, chiunque abbia sentito i racconti di chi c’è stato conosce le attrattive più famose della capitale della Catalunya.
Il turista vi racconterà a menadito da quanti anni continua la costruzione della Sagrada Familia e quanto misura la guglia più alta. Vi racconterà dei ristoranti che si trovano lungo le Ramblas: quelli col menù turistico e di quel negozio di souvenir dove ha comprato una miniatura della Salamandra che accoglie i visitatori a Parc Guell.
Questo io non ve lo racconterò perché a Barcellona ho preferito essere viaggiatore.
Il mio viaggio inizia ad un angolo di strada, al limite estremo delle Ramblas, nel “Barrio Cino” l’ex quartiere a luci rosse della vecchia Barcellona. Proprio qui all’angolo di Carrer de Santa Monica nel tardo pomeriggio fa la sua comparsa “La Pina”. Se non la incontrassi tutte le sere quando rientro non mi sentirei davvero a casa.
La Pina è un travestito anziano che quando lo guardi non capisci dove inizia la pelle e dove finisce la plastica. E’ un mix di protesi e botulino dentro un tailleur a fiori un po’ demodè. Si ritira dal lavoro relativamente presto: difficile vedere in giro “La Pina” dopo le undici di sera. Appare dal fondo di Carrer di Santa Monica, da un luogo imprecisato, forse un “basso” sullo stile dei nostrani “quartieri spagnoli” di Napoli, e altrettanto misteriosamente scompare, inghiottita dallo stesso vicolo, in dissolvenza senza far rumore. I “colleghi” della Pina popolano questo angolo di strada nelle ore più tarde e il Barrio non sarebbe lo stesso se non ci fossero. Nulla a che vedere con i viados caciaroni di alcuni quartieri di Milano, qui se ne stanno tranquilli, chiacchierano con la gente del posto, seduti sulla panchina di fronte al centro d’arte: al turista che passa chiedono, in tutte le lingue del mondo, se vuole usufruire dei loro servigi, se è un sì bene, se è un no, bene uguale, continuano le loro chiacchiere con la gente del Barrio.
“La Pina” mi dice sempre che l’uomo italiano è il migliore del mondo, io faccio finta di crederle anche se in fondo in fondo so che è una frase che rientra in una chiara logica di marketing. Una sera ci siamo fermati a parlare delle canzoni italiane e parla parla vado a scoprire che il suo idolo è Battisti: da non credere!!! Anche se ripensandoci bene a portare indietro l’orologio di qualche decennio forse riesco ad immaginare La Pina in un costume intero, ovviamente a fiori, il viso nascosto dai maxi occhialoni anni ’60 mentre accanto al juke box ascolta rapita la melodia di “Pensieri e Parole”. In fondo La Pina è una gran romanticona, ma per via del suo lavoro non lo dà molto a vedere.

In questo angolo di strada fino a poco tempo fa c’era anche un tipico negozietto di souvenir, proprio come quelli che prendono d’assalto i turisti nel resto delle Ramblas: poteva fare a gara coi chioschi di souvenir che si trovano in Stazione Centrale a Milano: in un angolo sperduto del negozio si trova sempre una gondola veneziana. Tanto è vero che il negozio si chiama Rialto. Ero arrivato da poco al Barrio e Rialto fu uno dei primi negozi dove entrai anche perché sull’insegna c’era scritto “qui si parla italiano”. I gestori di Rialto sono una coppia di indiani, ma quello che conosce l’italiano è il fratello di lui: peccato che non vive lì. Mi spiegano che il fratello lavora per una compagnia aerea indiana e che l’italiano lo ha imparato in occasione degli scali che il volo faceva a Malpensa. L’atmosfera diventa sempre più surreale. Ma il Barrio è anche questo, se non soprattutto questo. Qualche mese fa Rialto è diventato una gelateria italiana, dove si parla sempre italiano. Dentro ci lavora la figlia della coppia di Indiani che prima avevano il negozio di souvenir. Bene mi sento rassicurato, non mi sarebbe piaciuta una gelateria italiana, gestita da italiani e con personale italiano. Così invece mi sento a casa, nel Barrio che conosco da quando vivo qui.

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