martedì 5 gennaio 2010

I Misteri di Barcellona - 4° puntata

Fuori o dentro il locale non c’è molta differenza, la quantità di gente è sempre incredibile a ridosso delle Ramblas a qualsiasi ora del giorno e della notte. Parlottiamo per una decina di minuti appena fuori da “I Los Toreros”: L’amletico dilemma alimentato da birre e sangria è il seguente: bagno di folla con tanto di strusciamento, volontario o no che importa, fra l’accaldato e vociante popolo delle Ramblas oppure percorso apparentemente più low profile in strade meno trafficate addentrandoci in pieno Raval?

Io e Vincent non abbiamo dubbi, Maru e Thierry sono dalla nostra e lo capiamo chiaramente dalla direzione che prendono gli anelli di fumo: Raval.

Nessuna guida, neppure la meno classica di tutte sarà mai in grado di dare un’idea di che cos’è questo quartiere, soprattutto perché quanto c’è da sapere su questo più ancora di altri, va visto, va annusato, va toccato… Ormai questa parte della città non ha quasi più segreti per me, mi sembra addirittura di conoscerla meglio di chi a Barcellona ci è nato o comunque vissuto molto più tempo di me. Il locale non è molto distante, camminiamo tranquilli forse perché stiamo attraversando quella fase in cui si passa dall’euforia dell’alcol ad un momento di leggero torpore sia fisico che mentale, ma dura poco. Una decina di metri davanti a noi da un portone semichiuso di carrer San Ramon esce un vociare che non promette nulla di tranquillo. A quanto pare un tipo ha voluto fare un po’ troppo il furbo e vuole la sua parte di piacere quotidiano a gratis, la ragazza gli rovescia addosso una valanga di parole in stretto catalano: nonostante il tasso alcolico tutti e quattro abbiamo capito perfettamente che l’ha senza mezzi termini mandato affanculo .- ovviamente a pagamento -. Qui sono tutti vecchi palazzi che come minimo hanno cento anni di età, dire che sono case vissute capirete che è solo un eufemismo. Le ho sempre viste soltanto da fuori ed è un peccato che la maggior parte sia ridotta ad un aspetto così fatiscente. Alcune restaurate a dovere ritornerebbero ad un antico splendore che adesso si può intravedere solo con molta immaginazione. Lasciati ragazza e cliente arriviamo all’incrocio con carrer Sant Pau fra papponi trasandati e belle di notte di cui resta vera soltanto la seconda parte del nome: notte. Ecco all’angolo il Bar Marsella, visto da fuori sembra un vecchio saloon da film western con grandi vetrate incorniciate da tendine dal sapore molto retrò. Fuori i soliti capannelli di chi staziona in strada con la consumazione in mano, dentro: il bancone preso d’assalto, un caos di persone in piedi, sedute, sdraiate che si distribuiscono semplicemente a caso dove trovano posto. Una bolgia moltiplicata dagli specchi che occupano la quasi totalità delle pareti. In quattro riusciamo a sederci attorno ad un tavolino minuscolo: roba da contorsionisti. Qui ci vuole qualcosa per rilassare il corpo ed espandere la mente, e siamo esattamente nel posto giusto: uno dei locali di Barcellona in cui si può gustare l’assenzio. La prima volta che Maru mi ha portato qui, dopo i primi minuti di disorientamento che chiunque avrebbe non appena varcata la soglia del locale, mi sono sentito catapultato in piena atmosfera bohemienne. Il consumo dell’assenzio è un rito, se sia un reato oppure no a dire il vero lo ignoro, ma visto che a Barcellona si può passeggiare indisturbati con i gioielli di famiglia in bella mostra senza essere arrestati per oltraggio al pudore, capirete bene che non mi sono posto il problema nel bere un bicchierino di assenzio. Un rito perché non è il solito chupito e via: sarà forse per via della magia dell’epoca storica in cui si è diffuso, sarà per il suo colore verde che lo fa assomigliare a quelle strane pozioni degli alchimisti, sarà che va consumato bruciando una zolletta di zucchero, sarà quello che volete ma sta di fatto che quella prima volta mi fece sentire appartenente quasi ad una cerchia di eletti: mi sarei svegliato il giorno successivo novello Van Gohg o Toulouse Lautrec? Avrei intrapreso anch’io la strada di genio e sregolatezza? Vi tranquillizzo subito: no. La poesia finì nel giro di poche ore: l’assenzio probabilmente è solo una trovata commerciale sia in questo locale che in altri, però almeno una volta vale la pena di provarlo, se non altro per sentirsi per qualche ora un artista maledetto di fine ottocento. Qui al tavolo l’abbiamo già sperimentato tutti, quindi ora che ne ordiniamo un bicchierino a testa lo facciamo con aria più disincantata anche se il colore brunito dello zucchero al contatto con l’accendino unito al profumo dell’assenzio rimane, almeno esteticamente, una piccola magia. In mezzo a tutto questo caos e al fumo che regna imperante Maru non ha perso un briciolo della sua vitalità, gli occhi scuri e ridenti le brillano di gioia per l’appuntamento del giorno dopo con l’ennesimo uomo giusto. A quanto pare il responso dei tarocchi non ha per nulla spento il suo eccessivo entusiasmo: all’orecchio mi racconta le speranze riposte in questo incontro e lo fa nel suo stile nervoso, agitandosi sullo sgabello, sgranando gli occhi per lo stupore di una passione al momento solo immaginata. Le mani disegnano ampie curve nell’aria come a voler rincorrere le spirali di fumo che si innalzano verso il soffitto. Thierry e Vincent parlano fitto fitto, e non mi serve esser mago per capire l’argomento: donne e dintorni. Stanno anche trafficando col cellulare di sicuro alla ricerca di una delle loro innumerevoli amiche. Ormai abbiamo superato le due e nei loro progetti la notte ha ancora dei risvolti interessanti. Braccia, gambe, mani, occhi, sigarette, bicchieri, risate, cellulari, libri (ma chi riesce a leggere anche qui???), tacchi, gonne, rimmel, borse, orecchini, collane, orologi. Il “Bar Marsella” è sempre più bolgia infernale. L’irrequietezza dei miei amici fa capire a tutti noi che anche questa tappa ha dato tutto quello che doveva: fra uno slalom in mezzo a mani che reggono vassoi ci ritroviamo davanti all’entrata. Thierry e Vincent ci salutano velocemente: il loro prossimo appuntamento ha i capelli mossi e scuri. Io e Maru ci incamminiamo per carrer Sant Pau: le belle di notte sono ancora qua, ciondolano lente fra un portone e l’altro, le palpebre gonfie, i vestiti stropicciati da tante mani che sono passate di qua. Un gatto rovista un cassonetto, di malavoglia come per abitudine. Fra vicoli e viuzze raggiungiamo le Ramblas: sembra di stare in metropolitana all’ora di punta, Maru non ha problemi a rientrare a casa coi mezzi, nonostante l’ora continua ad essere in fibrillazione per il suo appuntamento. Le dò un bacio di in bocca al lupo: chissà come andrà a finire questa volta. Il Barrio Chino è a pochi metri, davanti al locale del Peep Show manco a dirlo le solite urla sguaiate degli italiani ubriachi persi, all’angolo con carrer de Santa Monica l’atmosfera si fa un po’ più tranquilla: anche i trans hanno finito giornata, la Pina poi sarà già a nanna da un pezzo: in questo non segue molto gli orari dei catalani inizia a lavorare presto verso le cinque del pomeriggio ma alle undici già non la si vede più: deve avere proprio una strana clientela sotto tutti i punti di vista. Eccomi a casa, le voci del barrio arrivano attutite e mi fanno compagnia, un sottofondo ritmicamente lento che mi accompagna dal torpore alla fase del sonno vero e proprio. Buonanotte Barcellona. Ora lo posso dire.

giovedì 26 novembre 2009

I misteri di Barcellona 3° puntata


Nel caso siamo stati fortunati, di solito la cena A “I Los Tore

Nel caso siamo stati fortunati, di solito la cena a “I Los Toreros” prevede una prenotazione con uno o due giorni d’anticipo; non è certo uno di quei locali in cui ci si aspetta di trovare posto quando si decide un’uscita all’ultimo. Ma questo venerdì sera evidentemente la buona sorte è dalla nostra. Un gruppetto di turisti francesi ha appena liberato un tavolo che fa giusto giusto al caso nostro anche se, mio malgrado, si trova nella zona del locale dove tutti fumano come ciminiere. E’ uno di quei momenti in cui mi manca molto l’Italia. Qui in Spagna questa conquista decisamente salutare per i polmoni di tutti e soprattutto dei mie in questo caso, è ancora molto lontana. Manco a dirlo ovviamente Maru è invece doppiamente felice, non facciamo neppure in tempo a sederci che già brandisce con orgoglio tra le dita affusolate la sua inseparabile Marlboro morbida. La segue a meno di cinque minuti anche il buon Thierry. Io e Vincent ci guardiamo sconsolati e con l’animo pronto a soccombere. Forse era meglio non trovarlo libero quel tavolo !!!

Però il locale mi piace: ha le pareti interamente rivestite in legno con stampe caratteristiche appese un po’ ovunque: fa molto Spagna del Sud dove la corrida è ancora molto sentita, qua al nord non è che gliene freghi molto a nessuno. La Vecchia Arena di Barcellona è infatti oggetto di un ambizioso piano di recupero che, anche se alla fine ospiterà un ennesimo centro commerciale, a dir la verità sta in effetti riuscendo bene rispettando le caratteristiche architettoniche dell’antico edificio. Il cameriere non ci fa aspettare molto, arriva quasi correndo fra i tavoli brandendo i menu come se fossero banderillas. Tutti hanno l’impressione che col fatto di lavorare ai Los Toreros si sia fatto prendere non poco la mano. Ci saluta con un “Ola” altrettanto teatrale ma, alle prime parole che escono dalla bocca, capisco al volo che si tratta di un “catalano de nojartri”. Facciamo quattro chiacchiere a metà tra spagnolo, italiano e romanesco in un mix di lingue e dialetti che ci fa sentire un pochino come il Salvatore de “Il nome della rosa”: una babele in carne ed ossa. Ci facciamo consigliare i piatti della casa: il tavolo si divide tra gli estimatori della carne e quelli del pesce. Io per non far torto a nessuno mi butto su entrambe le scelte. E visto che le birre di Farouk ce le siamo belle che dimenticate approfittiamo per ordinare un boccale gigante di Sangria per tutti. Ci sarà un po’ da aspettare per le pietanze ma non è che ci sia qualcuno che ci corra dietro per farci tornare a casa presto. E’ venerdì sera, se Dio vuole la settimana lavorativa è finita, ci siamo appena seduti al tavolo e soprattutto siamo a Barcellona. Con Maru in compagnia è praticamente impossibile annoiarsi, conto fino a dieci o forse meno ed eccola che esordisce con una delle sue frasi che conosco a memoria. “questa te la devo proprio dire: ho incontrato l’uomo della mia vita, ti giuro e questa volta è quello giusto me lo sento, devi assolutamente farmi un giro di carte”. E cosa vi dicevo che lo sapevo? Mica leggo i tarocchi per sport, un pochino ci prendo. Non sia mai che mi faccia cogliere impreparato da una delle mie fan più accanite: estraggo dalla tasca della giacca un piccolo mazzo di tarocchi da viaggio da cui non mi separo mai e improvviso una lettura al volo. Ovviamente gli arcani mi dicono che questo, come la lunga serie dei predecessori, non è affatto l’uomo della vita della povera Maru, con una certa maestria che ho appreso negli anni cerco di rendere la cosa non troppo traumatica dispensando consigli che invitano comunque alla prudenza nella valutazione del soggetto in questione anche se so che, conoscendola, il mio consiglio non servirà a molto. La divinazione viene presto interrotta dall’arrivo della nostra cena: il “rabo de toro” la fa da padrone assieme ad una grigliata mista di pesce molto abbondante. I piatti già buoni di loro lo sembrano ancor di più con l’esaltante sapore della sangria che, inutile dirlo, sta scorrendo a fiumi. Il catalano de nojartri continua il suo show fra gli altri tavoli e più passa il tempo più le sue performances diventano sempre più strambe. Capiamo molto presto che i giri di chupitos che si è fatto dall’inizio del turno sono stati un po’ troppi anche per uno stomaco, a suo dire, molto allenato a questo sport. Non manca infatti di offrire anche a noi questa sorta di “limoncello” locale che non può mai mancare alla fine di una cena degna di questo nome. Siamo tutti visibilmente soddisfatti: l’aperitivo alla Granja è andato bene, la cena a “I Los Toreros” ancor di più. Maru e Thierry non trovano di meglio che festeggiare questa parte della serata con l’ennesima sigaretta. Io e Vincent li guardiamo con la faccia di chi li commisera un po’: “due tossici che non siete altro”. E così dicendo ci avviamo verso l’uscita del locale non certo per rientrare a casa. Sono da poco passate le undici e la notte qui è ancora lunga.

giovedì 12 novembre 2009

I Misteri di Barcellona . Seconda puantata

E tanto per cambiare ancora le comitive di italiani che invadono le Ramblas a partire dal venerdì pomeriggio: cerco di mitigarmi tra la folla e in questo comportamento mi sento sempre più catalano e sempre meno italiano. Come siamo casinari!!! L’ora di cena (italiana) si avvicina e i ristorantini turistici si riempiono a uovo distribuendo tapas, paella e fiumi di birra.
La tappa successiva di molti maschi italiani è proprio vicino al mio Barrio dove ragazze africane che a definire maggiorenni ci vuol fantasia, ti dicono che sei l’uomo della loro vita. E insomma i bisogni primari anche all’estero verranno soddisfatti per tutti. Torneranno a casa con una foto di gruppo davanti ad una paella gigante, l’occhio un po’ sceso dopo la terza birra media e un “giro” su una bellezza non proprio locale….. ma che vi racconto a fare questo che è un copione già visto da voi o dai vostri compagni di avventure.
Comincio ad aver fame anch’io in questo venerdì sera e dopo una settimana di lavoro non ho per nulla voglia di mettermi ai fornelli per un piatto di vera pasta (in questo sono ancora più italiano che catalano…). Faccio il giro degli amici che so di trovare sempre disponibili per un aperitivo fuori dal classico o per una cena in quelli che l’amico Davide chiama “i postacci”. La compagnia è fatta: io, Maru, Robertino e Vincent. Pochi ma buoni : la meta è scontata, si va tutti a “La Granja “ dal nostro amico Farouk. Il locale è microscopico, con un arredamento un po’ improvvisato. Appena entrati sulla sinistra una scala a chiocciola sale ad un soppalco che rare volte abbiamo raggiunto. Lo spirito del locale è al pianterreno. Un rettangolo lungo e stretto occupato quasi interamente dal bancone e con quattro tavolini sul fondo a ridosso della cucina. Le pareti un po’ scrostate e i resti di tubi sporgenti dal muro raccontano anche ad un occhio non esperto che dove siamo seduti ora noi un tempo c’era il bagno del locale. Andiamo sul sicuro e ordiniamo quattro birre. Farouk ci accoglie con il suo proverbiale sorriso: sappiamo tutti che oggi è molto felice perché finalmente abbiamo portato con noi una ragazza; noi lo siamo altrettanto visto che ci aveva promesso un giro di birra gratis se avessimo portato una dolce e bella fanciulla per rallegrare l’ambiente. Nel tavolino a fianco al nostro siede Alì: ci saluta con l’inconfondibile bocca sdentata: è qui da sempre, probabilmente da prima che esistesse la Granja. Quando è in pausa, sì perché non ve l’ho detto ma Alì è il cuoco del locale, si siede nel tavolino più vicino alla cucina, tra una sigaretta e l’altra ci racconta di quando era giovane ai tempi della Spagna franchista. Alì parla con foga, in maniera un po’ sconclusionata. Ha gli occhi vividi come se volesse che anche noi riuscissimo a vedere quello che ha visto lui. Non è vecchissimo ma l’ha invecchiato la vita e ogni ruga sul suo volto ce lo racconta chiaramente. Improvviso, nitido un rumore nel contempo secco e profondo ci scuote dal racconto: è un rutto colossale di cui si è reso protagonista un avventore seduto al bancone del bar. Per un attimo temiamo per la salute di Farouk che ne viene investito in pieno. Ma cosa volete che sia??!! Sorrisi, urla a profusione, bicchieri che si riempiono e tutto scorre: in fondo siamo o non siamo alla Granja? Farouk è stato di parola: il primo giro di birre ce lo offre lui, Maru se potesse ci strangolerebbe tutti e tre. Ma noi mica le abbiamo mentito, semplicemente abbiamo omesso questo piccolo ed insignificante particolare. Farouk guarda Maru e continua a sorridere, dopo la prima birra sarebbe pronto ad invitarla fuori a cena, dopo la seconda la proposta di matrimonio è dietro l’angolo, dalla terza in poi la vorrebbe come madre dei suoi figli. Prima della quarta birra decidiamo saggiamente di andarcene dalla Granja, salutiamo Farouk ringraziandolo per la proverbiale ospitalità. Insistiamo affinché Maru gli lasci almeno un foulard come pegno d’amore, ma la nostra amica argentina ci manda senza mezzi termini “a quel famoso paese”. La serata non poteva cominciare meglio. Usciti in strada ci imbattiamo in due pankabestia del tutto ubriachi: dai vaffa che si tirano l’un l’altro senza risparmiare il cane capisco che sono italiani. Il vicolo è talmente stretto che per farli passare ci fermiamo davanti a uno dei nostri locali preferiti per cenare “I Los Toreros” e visto che ci si siamo capitati quasi per caso, che le birre ci hanno aumentato la fame, che non abbiamo voglia di girellare oltre decidiamo all’unanimità che la nostra serata proseguirà senza dubbio in questo locale.

giovedì 21 maggio 2009

I Segreti di Barcellona 1

La Sagrada Familia, le Ramblas, il Tibidabo, le case moderniste: in una parola Barcellona.
Chiunque vi sia stato, chiunque vi stia per andare, chiunque abbia sentito i racconti di chi c’è stato conosce le attrattive più famose della capitale della Catalunya.
Il turista vi racconterà a menadito da quanti anni continua la costruzione della Sagrada Familia e quanto misura la guglia più alta. Vi racconterà dei ristoranti che si trovano lungo le Ramblas: quelli col menù turistico e di quel negozio di souvenir dove ha comprato una miniatura della Salamandra che accoglie i visitatori a Parc Guell.
Questo io non ve lo racconterò perché a Barcellona ho preferito essere viaggiatore.
Il mio viaggio inizia ad un angolo di strada, al limite estremo delle Ramblas, nel “Barrio Cino” l’ex quartiere a luci rosse della vecchia Barcellona. Proprio qui all’angolo di Carrer de Santa Monica nel tardo pomeriggio fa la sua comparsa “La Pina”. Se non la incontrassi tutte le sere quando rientro non mi sentirei davvero a casa.
La Pina è un travestito anziano che quando lo guardi non capisci dove inizia la pelle e dove finisce la plastica. E’ un mix di protesi e botulino dentro un tailleur a fiori un po’ demodè. Si ritira dal lavoro relativamente presto: difficile vedere in giro “La Pina” dopo le undici di sera. Appare dal fondo di Carrer di Santa Monica, da un luogo imprecisato, forse un “basso” sullo stile dei nostrani “quartieri spagnoli” di Napoli, e altrettanto misteriosamente scompare, inghiottita dallo stesso vicolo, in dissolvenza senza far rumore. I “colleghi” della Pina popolano questo angolo di strada nelle ore più tarde e il Barrio non sarebbe lo stesso se non ci fossero. Nulla a che vedere con i viados caciaroni di alcuni quartieri di Milano, qui se ne stanno tranquilli, chiacchierano con la gente del posto, seduti sulla panchina di fronte al centro d’arte: al turista che passa chiedono, in tutte le lingue del mondo, se vuole usufruire dei loro servigi, se è un sì bene, se è un no, bene uguale, continuano le loro chiacchiere con la gente del Barrio.
“La Pina” mi dice sempre che l’uomo italiano è il migliore del mondo, io faccio finta di crederle anche se in fondo in fondo so che è una frase che rientra in una chiara logica di marketing. Una sera ci siamo fermati a parlare delle canzoni italiane e parla parla vado a scoprire che il suo idolo è Battisti: da non credere!!! Anche se ripensandoci bene a portare indietro l’orologio di qualche decennio forse riesco ad immaginare La Pina in un costume intero, ovviamente a fiori, il viso nascosto dai maxi occhialoni anni ’60 mentre accanto al juke box ascolta rapita la melodia di “Pensieri e Parole”. In fondo La Pina è una gran romanticona, ma per via del suo lavoro non lo dà molto a vedere.

In questo angolo di strada fino a poco tempo fa c’era anche un tipico negozietto di souvenir, proprio come quelli che prendono d’assalto i turisti nel resto delle Ramblas: poteva fare a gara coi chioschi di souvenir che si trovano in Stazione Centrale a Milano: in un angolo sperduto del negozio si trova sempre una gondola veneziana. Tanto è vero che il negozio si chiama Rialto. Ero arrivato da poco al Barrio e Rialto fu uno dei primi negozi dove entrai anche perché sull’insegna c’era scritto “qui si parla italiano”. I gestori di Rialto sono una coppia di indiani, ma quello che conosce l’italiano è il fratello di lui: peccato che non vive lì. Mi spiegano che il fratello lavora per una compagnia aerea indiana e che l’italiano lo ha imparato in occasione degli scali che il volo faceva a Malpensa. L’atmosfera diventa sempre più surreale. Ma il Barrio è anche questo, se non soprattutto questo. Qualche mese fa Rialto è diventato una gelateria italiana, dove si parla sempre italiano. Dentro ci lavora la figlia della coppia di Indiani che prima avevano il negozio di souvenir. Bene mi sento rassicurato, non mi sarebbe piaciuta una gelateria italiana, gestita da italiani e con personale italiano. Così invece mi sento a casa, nel Barrio che conosco da quando vivo qui.