giovedì 26 novembre 2009

I misteri di Barcellona 3° puntata


Nel caso siamo stati fortunati, di solito la cena A “I Los Tore

Nel caso siamo stati fortunati, di solito la cena a “I Los Toreros” prevede una prenotazione con uno o due giorni d’anticipo; non è certo uno di quei locali in cui ci si aspetta di trovare posto quando si decide un’uscita all’ultimo. Ma questo venerdì sera evidentemente la buona sorte è dalla nostra. Un gruppetto di turisti francesi ha appena liberato un tavolo che fa giusto giusto al caso nostro anche se, mio malgrado, si trova nella zona del locale dove tutti fumano come ciminiere. E’ uno di quei momenti in cui mi manca molto l’Italia. Qui in Spagna questa conquista decisamente salutare per i polmoni di tutti e soprattutto dei mie in questo caso, è ancora molto lontana. Manco a dirlo ovviamente Maru è invece doppiamente felice, non facciamo neppure in tempo a sederci che già brandisce con orgoglio tra le dita affusolate la sua inseparabile Marlboro morbida. La segue a meno di cinque minuti anche il buon Thierry. Io e Vincent ci guardiamo sconsolati e con l’animo pronto a soccombere. Forse era meglio non trovarlo libero quel tavolo !!!

Però il locale mi piace: ha le pareti interamente rivestite in legno con stampe caratteristiche appese un po’ ovunque: fa molto Spagna del Sud dove la corrida è ancora molto sentita, qua al nord non è che gliene freghi molto a nessuno. La Vecchia Arena di Barcellona è infatti oggetto di un ambizioso piano di recupero che, anche se alla fine ospiterà un ennesimo centro commerciale, a dir la verità sta in effetti riuscendo bene rispettando le caratteristiche architettoniche dell’antico edificio. Il cameriere non ci fa aspettare molto, arriva quasi correndo fra i tavoli brandendo i menu come se fossero banderillas. Tutti hanno l’impressione che col fatto di lavorare ai Los Toreros si sia fatto prendere non poco la mano. Ci saluta con un “Ola” altrettanto teatrale ma, alle prime parole che escono dalla bocca, capisco al volo che si tratta di un “catalano de nojartri”. Facciamo quattro chiacchiere a metà tra spagnolo, italiano e romanesco in un mix di lingue e dialetti che ci fa sentire un pochino come il Salvatore de “Il nome della rosa”: una babele in carne ed ossa. Ci facciamo consigliare i piatti della casa: il tavolo si divide tra gli estimatori della carne e quelli del pesce. Io per non far torto a nessuno mi butto su entrambe le scelte. E visto che le birre di Farouk ce le siamo belle che dimenticate approfittiamo per ordinare un boccale gigante di Sangria per tutti. Ci sarà un po’ da aspettare per le pietanze ma non è che ci sia qualcuno che ci corra dietro per farci tornare a casa presto. E’ venerdì sera, se Dio vuole la settimana lavorativa è finita, ci siamo appena seduti al tavolo e soprattutto siamo a Barcellona. Con Maru in compagnia è praticamente impossibile annoiarsi, conto fino a dieci o forse meno ed eccola che esordisce con una delle sue frasi che conosco a memoria. “questa te la devo proprio dire: ho incontrato l’uomo della mia vita, ti giuro e questa volta è quello giusto me lo sento, devi assolutamente farmi un giro di carte”. E cosa vi dicevo che lo sapevo? Mica leggo i tarocchi per sport, un pochino ci prendo. Non sia mai che mi faccia cogliere impreparato da una delle mie fan più accanite: estraggo dalla tasca della giacca un piccolo mazzo di tarocchi da viaggio da cui non mi separo mai e improvviso una lettura al volo. Ovviamente gli arcani mi dicono che questo, come la lunga serie dei predecessori, non è affatto l’uomo della vita della povera Maru, con una certa maestria che ho appreso negli anni cerco di rendere la cosa non troppo traumatica dispensando consigli che invitano comunque alla prudenza nella valutazione del soggetto in questione anche se so che, conoscendola, il mio consiglio non servirà a molto. La divinazione viene presto interrotta dall’arrivo della nostra cena: il “rabo de toro” la fa da padrone assieme ad una grigliata mista di pesce molto abbondante. I piatti già buoni di loro lo sembrano ancor di più con l’esaltante sapore della sangria che, inutile dirlo, sta scorrendo a fiumi. Il catalano de nojartri continua il suo show fra gli altri tavoli e più passa il tempo più le sue performances diventano sempre più strambe. Capiamo molto presto che i giri di chupitos che si è fatto dall’inizio del turno sono stati un po’ troppi anche per uno stomaco, a suo dire, molto allenato a questo sport. Non manca infatti di offrire anche a noi questa sorta di “limoncello” locale che non può mai mancare alla fine di una cena degna di questo nome. Siamo tutti visibilmente soddisfatti: l’aperitivo alla Granja è andato bene, la cena a “I Los Toreros” ancor di più. Maru e Thierry non trovano di meglio che festeggiare questa parte della serata con l’ennesima sigaretta. Io e Vincent li guardiamo con la faccia di chi li commisera un po’: “due tossici che non siete altro”. E così dicendo ci avviamo verso l’uscita del locale non certo per rientrare a casa. Sono da poco passate le undici e la notte qui è ancora lunga.

giovedì 12 novembre 2009

I Misteri di Barcellona . Seconda puantata

E tanto per cambiare ancora le comitive di italiani che invadono le Ramblas a partire dal venerdì pomeriggio: cerco di mitigarmi tra la folla e in questo comportamento mi sento sempre più catalano e sempre meno italiano. Come siamo casinari!!! L’ora di cena (italiana) si avvicina e i ristorantini turistici si riempiono a uovo distribuendo tapas, paella e fiumi di birra.
La tappa successiva di molti maschi italiani è proprio vicino al mio Barrio dove ragazze africane che a definire maggiorenni ci vuol fantasia, ti dicono che sei l’uomo della loro vita. E insomma i bisogni primari anche all’estero verranno soddisfatti per tutti. Torneranno a casa con una foto di gruppo davanti ad una paella gigante, l’occhio un po’ sceso dopo la terza birra media e un “giro” su una bellezza non proprio locale….. ma che vi racconto a fare questo che è un copione già visto da voi o dai vostri compagni di avventure.
Comincio ad aver fame anch’io in questo venerdì sera e dopo una settimana di lavoro non ho per nulla voglia di mettermi ai fornelli per un piatto di vera pasta (in questo sono ancora più italiano che catalano…). Faccio il giro degli amici che so di trovare sempre disponibili per un aperitivo fuori dal classico o per una cena in quelli che l’amico Davide chiama “i postacci”. La compagnia è fatta: io, Maru, Robertino e Vincent. Pochi ma buoni : la meta è scontata, si va tutti a “La Granja “ dal nostro amico Farouk. Il locale è microscopico, con un arredamento un po’ improvvisato. Appena entrati sulla sinistra una scala a chiocciola sale ad un soppalco che rare volte abbiamo raggiunto. Lo spirito del locale è al pianterreno. Un rettangolo lungo e stretto occupato quasi interamente dal bancone e con quattro tavolini sul fondo a ridosso della cucina. Le pareti un po’ scrostate e i resti di tubi sporgenti dal muro raccontano anche ad un occhio non esperto che dove siamo seduti ora noi un tempo c’era il bagno del locale. Andiamo sul sicuro e ordiniamo quattro birre. Farouk ci accoglie con il suo proverbiale sorriso: sappiamo tutti che oggi è molto felice perché finalmente abbiamo portato con noi una ragazza; noi lo siamo altrettanto visto che ci aveva promesso un giro di birra gratis se avessimo portato una dolce e bella fanciulla per rallegrare l’ambiente. Nel tavolino a fianco al nostro siede Alì: ci saluta con l’inconfondibile bocca sdentata: è qui da sempre, probabilmente da prima che esistesse la Granja. Quando è in pausa, sì perché non ve l’ho detto ma Alì è il cuoco del locale, si siede nel tavolino più vicino alla cucina, tra una sigaretta e l’altra ci racconta di quando era giovane ai tempi della Spagna franchista. Alì parla con foga, in maniera un po’ sconclusionata. Ha gli occhi vividi come se volesse che anche noi riuscissimo a vedere quello che ha visto lui. Non è vecchissimo ma l’ha invecchiato la vita e ogni ruga sul suo volto ce lo racconta chiaramente. Improvviso, nitido un rumore nel contempo secco e profondo ci scuote dal racconto: è un rutto colossale di cui si è reso protagonista un avventore seduto al bancone del bar. Per un attimo temiamo per la salute di Farouk che ne viene investito in pieno. Ma cosa volete che sia??!! Sorrisi, urla a profusione, bicchieri che si riempiono e tutto scorre: in fondo siamo o non siamo alla Granja? Farouk è stato di parola: il primo giro di birre ce lo offre lui, Maru se potesse ci strangolerebbe tutti e tre. Ma noi mica le abbiamo mentito, semplicemente abbiamo omesso questo piccolo ed insignificante particolare. Farouk guarda Maru e continua a sorridere, dopo la prima birra sarebbe pronto ad invitarla fuori a cena, dopo la seconda la proposta di matrimonio è dietro l’angolo, dalla terza in poi la vorrebbe come madre dei suoi figli. Prima della quarta birra decidiamo saggiamente di andarcene dalla Granja, salutiamo Farouk ringraziandolo per la proverbiale ospitalità. Insistiamo affinché Maru gli lasci almeno un foulard come pegno d’amore, ma la nostra amica argentina ci manda senza mezzi termini “a quel famoso paese”. La serata non poteva cominciare meglio. Usciti in strada ci imbattiamo in due pankabestia del tutto ubriachi: dai vaffa che si tirano l’un l’altro senza risparmiare il cane capisco che sono italiani. Il vicolo è talmente stretto che per farli passare ci fermiamo davanti a uno dei nostri locali preferiti per cenare “I Los Toreros” e visto che ci si siamo capitati quasi per caso, che le birre ci hanno aumentato la fame, che non abbiamo voglia di girellare oltre decidiamo all’unanimità che la nostra serata proseguirà senza dubbio in questo locale.

giovedì 21 maggio 2009

I Segreti di Barcellona 1

La Sagrada Familia, le Ramblas, il Tibidabo, le case moderniste: in una parola Barcellona.
Chiunque vi sia stato, chiunque vi stia per andare, chiunque abbia sentito i racconti di chi c’è stato conosce le attrattive più famose della capitale della Catalunya.
Il turista vi racconterà a menadito da quanti anni continua la costruzione della Sagrada Familia e quanto misura la guglia più alta. Vi racconterà dei ristoranti che si trovano lungo le Ramblas: quelli col menù turistico e di quel negozio di souvenir dove ha comprato una miniatura della Salamandra che accoglie i visitatori a Parc Guell.
Questo io non ve lo racconterò perché a Barcellona ho preferito essere viaggiatore.
Il mio viaggio inizia ad un angolo di strada, al limite estremo delle Ramblas, nel “Barrio Cino” l’ex quartiere a luci rosse della vecchia Barcellona. Proprio qui all’angolo di Carrer de Santa Monica nel tardo pomeriggio fa la sua comparsa “La Pina”. Se non la incontrassi tutte le sere quando rientro non mi sentirei davvero a casa.
La Pina è un travestito anziano che quando lo guardi non capisci dove inizia la pelle e dove finisce la plastica. E’ un mix di protesi e botulino dentro un tailleur a fiori un po’ demodè. Si ritira dal lavoro relativamente presto: difficile vedere in giro “La Pina” dopo le undici di sera. Appare dal fondo di Carrer di Santa Monica, da un luogo imprecisato, forse un “basso” sullo stile dei nostrani “quartieri spagnoli” di Napoli, e altrettanto misteriosamente scompare, inghiottita dallo stesso vicolo, in dissolvenza senza far rumore. I “colleghi” della Pina popolano questo angolo di strada nelle ore più tarde e il Barrio non sarebbe lo stesso se non ci fossero. Nulla a che vedere con i viados caciaroni di alcuni quartieri di Milano, qui se ne stanno tranquilli, chiacchierano con la gente del posto, seduti sulla panchina di fronte al centro d’arte: al turista che passa chiedono, in tutte le lingue del mondo, se vuole usufruire dei loro servigi, se è un sì bene, se è un no, bene uguale, continuano le loro chiacchiere con la gente del Barrio.
“La Pina” mi dice sempre che l’uomo italiano è il migliore del mondo, io faccio finta di crederle anche se in fondo in fondo so che è una frase che rientra in una chiara logica di marketing. Una sera ci siamo fermati a parlare delle canzoni italiane e parla parla vado a scoprire che il suo idolo è Battisti: da non credere!!! Anche se ripensandoci bene a portare indietro l’orologio di qualche decennio forse riesco ad immaginare La Pina in un costume intero, ovviamente a fiori, il viso nascosto dai maxi occhialoni anni ’60 mentre accanto al juke box ascolta rapita la melodia di “Pensieri e Parole”. In fondo La Pina è una gran romanticona, ma per via del suo lavoro non lo dà molto a vedere.

In questo angolo di strada fino a poco tempo fa c’era anche un tipico negozietto di souvenir, proprio come quelli che prendono d’assalto i turisti nel resto delle Ramblas: poteva fare a gara coi chioschi di souvenir che si trovano in Stazione Centrale a Milano: in un angolo sperduto del negozio si trova sempre una gondola veneziana. Tanto è vero che il negozio si chiama Rialto. Ero arrivato da poco al Barrio e Rialto fu uno dei primi negozi dove entrai anche perché sull’insegna c’era scritto “qui si parla italiano”. I gestori di Rialto sono una coppia di indiani, ma quello che conosce l’italiano è il fratello di lui: peccato che non vive lì. Mi spiegano che il fratello lavora per una compagnia aerea indiana e che l’italiano lo ha imparato in occasione degli scali che il volo faceva a Malpensa. L’atmosfera diventa sempre più surreale. Ma il Barrio è anche questo, se non soprattutto questo. Qualche mese fa Rialto è diventato una gelateria italiana, dove si parla sempre italiano. Dentro ci lavora la figlia della coppia di Indiani che prima avevano il negozio di souvenir. Bene mi sento rassicurato, non mi sarebbe piaciuta una gelateria italiana, gestita da italiani e con personale italiano. Così invece mi sento a casa, nel Barrio che conosco da quando vivo qui.